Je suis a prendre, Roberto Caielli con Paola Geranio
“Pittura fotografia film”, come il titolo del famoso trattato di Moholy Nagy sono dentro questa stanza che è viscerale e perturbante come i propositi delle visioni comuni, attorno al tema dell’erotismo, anzi della pornografia, che è essa stessa un luogo della sovraesposizione e della eccitabilità. Il progetto mescola dipinti e fotografie che nascono dallo stesso intento, e che stimolano entrambi l’immaginazione di chi osserva, ma con esiti estetici differenti. Concreti e diretti i dipinti, astratte ed evanescenti le fotografie.
Da una parte i “film landscape” del fotografo Roberto Caielli, parte di un ampio progetto cominciato oltre dieci anni fa con cui provava a riprendere in un unico scatto di lunga esposizione un intero film. In questo caso si tratta di “Je suis a prendre” del 1977 con Brigitte Lahaie, e dallo stesso film il fotografo ruba frammenti piccolissimi di singoli Frame stampati in grande formato.
Dall’altra, l’arte pittorica di Paola Geranio e i suoi ritratti femminili, talora dipinti riprendendo frames dai medesimi film.
"I corpi e gli atti del cinema hard - dice Caielli - sono dissolti nella mia fotografia che riprende attraverso un foro stenopeico, e per lunghissimi minuti, il film davanti a un monitor e lo tramuta in una nuvola d’anime. Tutto svanisce per lasciare dentro una specie di inconscio filmico dai contorni astratti le mie paure, il desiderio come un oggetto fantastico. Come quando rimane l’odore nella cucina dopo che hai bruciato un toast nel tostapane, per citare un film che parla di paura e desiderio, The Shining".
Paola riprende a pennellate questi frame, li copre di materia, e riporta Brigitte Lahaie, Karin Gambier, Marylin Jess alla loro desiderabilità, cogliendo soprattutto il loro sguardo, chiudendo un volto dentro i confini del quadro e lasciando a chi guarda la libertà di immaginare ciò che di fantastico accade intorno a loro. Nulla è astrazione dentro i suoi quadri, e questo gesto di riportare in vita, al desiderio, la nuvola d’anime, chiude il cerchio soluzione-dissoluzione e apre forse allo spettatore, è il caso di chiamarlo così, immaginazioni che riguardano il porno in modo diverso dall’ordinario. Di fronte a entrambi i lavori si viene proiettati in uno stato di creazione, la mente produce scenari che solo chi osserva può vedere e leggere. C'è una zona d'ombra che è come un intimo dialogo con noi stessi, guardando le fotografie si può immaginare quale sia il momento in cui la fantasia si sofferma e cerca di sovrapporsi, di ritrovarsi. Si cerca di riconoscere una parte familiare o un desiderio. Guardando i dipinti tendiamo ad allargare l'inquadratura, a girarla di 180° e a continuare il racconto di ciò che sta accadendo oltre la cornice.
"Così si è di fronte a sé stessi, in mezzo ad una stanza pubblica, - dice Paola - tra sconosciuti, ci mettiamo a nudo specchiandoci, la mente racconta, ci mostra chi siamo. L'immagine è un mezzo per sondare se stessi, è un ponte tra ciò che è manifesto e ciò che è celato. Attraverso la visione si è proiettati in uno stato che porta al confronto con i propri limiti, esortando a scoprire cosa si trova oltre. L'uscire da una zona di comfort per esplorare la profondità di quello che anima e muove le pulsioni è parte di un percorso di crescita, mutamento ed evoluzione".





